L’adolescenza - per definizione l’età di passaggio dall’infanzia all’età adulta - è contrassegnata da importanti cambiamenti fisici, psicologici e sociali che, come ben sappiamo o ricordiamo, generano spesso nei giovani stress, ansia e insicurezza ad ogni passo che conduce al diventare adulti.
Questi anni di vero “tumulto” interiore hanno conseguenze a lungo termine per la persona e il suo benessere percepito: tanto il preadolescente quanto l’adolescente deve imparare, infatti, come far fronte allo stress del cambiamento, affrontare le emozioni e, al contempo, determinare la natura delle dinamiche con i pari e gestirne la pressione.
A ciò si aggiunge la sempre maggiore consapevolezza del ruolo del proprio aspetto esteriore all’interno del gruppo, che di fatto determina il maggior mezzo di riprova sociale e, di conseguenza, di valutazione di sé.
Fenomeni come il body shaming (letteralmente: “far vergognare qualcuno per il proprio corpo”) e il weight shaming (maggiormente riferito al peso corporeo) sono fenomeni sociali che gravano per diversi aspetti sulla vita dei ragazzi e, in particolare, su:
Secondo diversi approcci della psicologia dell’età evolutiva, l’immagine di sé deriva in gran parte da come le proprie caratteristiche di personalità, le proprie inclinazioni e il proprio aspetto fisico vengono guardati e valutati dagli altri, in particolar modo dalle persone che più rappresentano l’oggetto di confronto e di riprova sociale.
Vediamo quali sono i principali mezzi attraverso cui si manifesta e si sviluppa il body shaming.
Senza dubbio, il primo mezzo di espressione e condivisione delle valutazioni sul corpo è il body talk, che rappresenta l’insieme delle conversazioni con oggetto l’apparenza fisica ed estetica propria e altrui.
Questo genere di interazione interpersonale non solo focalizza l’attenzione sull’aspetto fisico, ma di fatto rafforza il valore e l’importanza dell’apparenza, promuovendo degli ideali a cui ispirarsi.
Il body talk incoraggia i giovani a scrutare il proprio aspetto e quello degli altri, diventando al contempo attori della conversazione (quando si giudicano gli altri) ma anche spettatori (in quanto il mezzo di confronto è sempre, anche solo implicitamente, il proprio corpo).
A sua volta, il body talk può avvenire in diversi modi, ad esempio:
Altro elemento significativo di sviluppo del body shaming sono i ricordi di esperienze passate: eventi vissuti come particolarmente significativi possono creare memorie difficili da rimuovere e che tendono a ricorrere come stati d’animo anche in esperienze diverse da quelle vissute in precedenza.
Gli eventi significativi di vergogna possono, infatti, essere vissuti con picchi emozionali importanti, cosa che rende possibile il ritorno vivido all’emozione negativa di vergogna anche quando di fatto non si viene criticati con la medesima asprezza o intento.
Pensiamo, ad esempio, quando il bambino o la bambina viene criticata per il proprio aspetto da una figura di riferimento: queste esperienze possono trasformarsi in una ipersensibilità da adolescenti e assumere il potere di far rivivere il momento di vergogna anche solo con uno sguardo o con un’interpretazione errata di ciò che avviene nell’interazione con gli altri.
La carenza di amore e attenzione da parte della famiglia sembra essere tra tutti il più razionale e logico elemento “di terreno” per lo sviluppo dell’esito negativo del body shaming: sia quello inferto agli altri, sia nei termini di patimento per se stessi.
Nelle famiglie disfunzionali, infatti, si potrebbe più facilmente sviluppare la tendenza, da parte dei giovani in crescita, di infliggere qualcosa di negativo e offensivo agli altri per far fronte alle loro stesse mancanze.
Numerosi autori e svariate ricerche hanno mostrato che i bambini cresciuti in ambienti privi di affetto da parte dei genitori potrebbero con maggiore probabilità diventare adulti aggressivi, ostili e antisociali.
Diversi bambini cresciuti con deprivazione affettiva, inoltre, potrebbero sviluppare la tendenza ad associare l’amore al dolore, in quanto non sapendo come si manifesta un amore sano, finiranno per ferire qualcun altro nello stesso modo in cui si è stati feriti nella propria infanzia.
In modo complementare, anche la “vittima” del body shaming potrebbe trovarsi sfornita di adeguati strumenti di fronteggiamento della molestia qualora non sia cresciuta in un ambiente attento e incoraggiante.
La mancanza di un’adeguata educazione sul senso di rispetto di sé e degli altri è un altro fatto evidente: la conoscenza, in questo come in tutti gli aspetti della vita, è fondamentale.
La carenza educativa si manifesta nell’incapacità per il giovane o la giovane in crescita di considerare le critiche e le obiezioni come visioni altrui e come difetti comunicativi, piuttosto che sentenze che mettono in crisi la propria identità.
In una cultura e società che tende ad idealizzare modelli estetici definiti, conferendo loro valore e maggiore appetibilità rispetto ad altre caratteristiche, non ci si può aspettare che i ragazzi che non corrispondono a questi standard richiesti non si sentano ansiosi, intimiditi, demotivati e inferiori perché “imperfetti”.
In effetti, la maggior parte delle vittime di body shaming, in particolare le donne, sente maggiormente il peso dell’insicurezza conseguente alle osservazioni negative contro di loro, piuttosto che la motivazione e il desiderio di avere un bell'aspetto.
I dati relativi a diversi paesi del mondo ci dicono che:
Un’educazione che non ribadisca agli adolescenti che inseguire il corpo “perfetto” è un’illusione e che, inoltre, il loro corpo è ancora in via di sviluppo e che può essere mantenuto sano grazie all’alimentazione, all’attività fisica e ad una visione rispettosa di sé, è di fatto un’educazione carente.
Self-compassion – termine poco usato in Italia nella sua traduzione letterale, ovvero autocompassione – si riferisce alla compassione verso se stessi in caso di percepita inadeguatezza, fallimento o sofferenza in generale.
Kristin Neff ha definito questo processo come l’esito dello sviluppo di tre principali elementi:
Il primo elemento, ovvero la gentilezza, implica la capacità di riferirsi a se stessi con modalità calorose e, in presenza di dolore e carenze personali, con accoglienza e comprensione.
Il secondo, la “comune umanità”, implica il riconoscere che alcune delle proprie esperienze di sofferenza e senso di fallimento personale sono condivise anche da altri esseri umani nel medesimo modo, facendo quindi parte di un’esperienza comune che ci avvicina gli uni agli altri.
Il terzo elemento, ovvero la consapevolezza, indica infine un approccio equilibrato rispetto alle proprie emozioni negative, che vengono riconosciute e pesate in base alle cause scatenanti.
Questo tipo di consapevolezza, in associazione alla riflessione attiva, conduce la persona che la alimenta ad osservare se stessa con apertura e a prevenire la disperazione indotta dalla mancanza di autocontrollo.
Un numero crescente di ricerche ha dimostrato il ruolo dell’autocompassione come fattore protettivo contro la propria immagine corporea negativa, la bassa autostima e l’insoddisfazione di sé.
La relazione tra soddisfazione verso il proprio corpo e l’autostima, infatti, si evidenzia come meno stringente per le persone con livelli maggiori di self-compassion, un dato interessante non solo per comprendere l’origine del problema ma anche per mitigarlo.
Elevati livelli di compassione, gentilezza e consapevolezza di se stessi, infatti, sono positivamente associati anche ad una sana motivazione per l’esercizio fisico e al mangiare sano, due fattori che diminuiscono il senso di passività e rassegnazione verso l’immagine e la forma del proprio corpo.
Ecco allora che l'autocompassione può proteggere dalle conseguenze dannose (stress psicologico e vergogna del corpo) della sorveglianza del corpo (accettare le imperfezioni piuttosto che l'autocritica e i giudizi) e migliorare la felicità soggettiva.
La ricerca contemporanea, così come l’osservazione e la pratica clinica, mettono chiaramente in luce che ogni fenomeno relazionale familiare e sociale negativo, è il frutto di intricate e complesse reti di elementi dove si intrecciano caratteristiche personali, ambientali e culturali, insieme a mezzi di comunicazione, di riprova sociale, mode e trend generali.
In base a quanto emerge dalla letteratura scientifica di riferimento, possiamo dunque individuare diversi elementi per impedire i fenomeni qui considerati, e per fronteggiarli qualora dovessero presentarsi al di là delle proprie possibilità di prevenzione:
Incoraggiare e alimentare nei giovani il senso di autoefficacia offrendo loro ambienti e strumenti affinché possano coltivare le loro autentiche passioni e avviare pratiche di esplorazione di sé al di là dell’apparenza superficiale.
Un ambiente che ha caratteristiche positive e che rispecchia le passioni della ragazza o del ragazzo, si riflette di conseguenza su una visione positiva di se stessi e concorre alla formazione di una mentalità altrettanto armonica e gioiosa, indipendentemente dalle visioni di “corpo ideale” o simili.
Promuovere l’autocompassione con specifiche pratiche di riflessione attiva, meditazione e confronto.
Da numerose evidenze neurofisiologiche emerge, infatti, che la pratica della self-compassion stimola il sistema di appagamento, sicurezza e calma necessario nella regolazione degli affetti, riducendo il sistema di minaccia e attivando gli effetti positivi legati alla sensazione di benessere, sicurezza e connessione sociale.
Al contempo, la consapevolezza di sé limita gli effetti dannosi delle critiche sui social network e dei discorsi tipo body-talk sia tra i pari che in famiglia.
Scegliere film e video da guardare in famiglia che abbiano un alto potere educativo in merito alla rappresentazione dell’aspetto fisico.
Il cinema è, infatti, uno dei mass media con maggior ruolo e funzione per diffondere informazioni sugli eventi, valori e stili di vita. Il cinema è di fatto sia uno specchio che una finestra della società, che come tale può influenzare gli atteggiamenti rafforzando, creando e modificando le norme culturali, sociali e individuali.
Un medesimo ruolo lo ha la comunicazione dei brand, come ad esempio la cosmesi di Dove, che molto si concentra sul potere dell’autostima sia con contenuti che con indagini condotte direttamente, o Moretti Compact, che ha ideato contenuti video focalizzati sulle sfide dei bambini, dei ragazzi e delle famiglie contemporanee.
Condividere in famiglia valori come la gratitudine e la riconoscenza per cosa si ha e per come si è, considerando i limiti come connaturati al proprio essere umani e come spesso essi siano costrutti sociali che risentono dei tempi, delle politiche e delle tendenze adottate dalle diverse culture.
Evitare di prendere in giro i propri figli per le loro caratteristiche fisiche, anche se scherzosamente: i significati di un bambino o di un adolescente potrebbero valicare il mero humor ed essere interpretati come giudizi e insulti dolorosi e potenzialmente dannosi per lo sviluppo delle loro abilità relazionali e caratteristiche di personalità.
Riflettere sul linguaggio e sulle espressioni che si usano per definire se stessi e gli altri. Una “bella persona” che tipo di persona è: esteriormente con una determinata apparenza o interiormente ricca di buone qualità?
Gli studi suggeriscono, ad esempio, che non ci sarebbe ragione per definire una ragazza o una donna “bella”, in quanto tutte, con le loro caratteristiche, lo sono e non necessitano di uno standard di determinazione.
Nello stesso modo, sarebbe importante insegnare ai giovani che quando incontrano altre persone non dovrebbero parlare del loro aspetto fisico per evitare di ferire o di concentrare l’incontro su argomenti riguardo all’apparenza, propria e altrui, tipica del body talk.
Insegnare ai ragazzi, dandone un esempio concreto, a reagire correttamente al body shaming.
Quello che si può fare, infatti, quando si è vittima di body o weight shaming è ridurre al minimo l'importanza dei commenti altrui nella propria vita.
Non è un percorso facile e nemmeno breve, in quanto è normale, specie per i ragazzi, dare molto peso ai giudizi dei pari e delle persone di riferimento. Tuttavia, si può trasmettere concretamente il fatto che la responsabilità della presa in giro non è mai della vittima, ma di chi sta criticando.
Mettere in luce che questa forma di maltrattamento è tipico di persone poco consapevoli e frustrate, che non hanno altri contenuti se non la critica degli altri, rappresenta di certo una risorsa per i ragazzi e per la famiglia intera.
Silvia Salese è una psicologa clinica ad indirizzo sistemico, un approccio orientato allo studio ed analisi dei molteplici fattori coinvolti in ogni fenomeno complesso, dall’essere umano alle organizzazione.
Lavora come consulente e docente, svolge attività di ricerca e coopera con enti e organizzazioni nazionali e con scuole di pensiero sistemico internazionali. Collabora attivamente per divulgare un approccio eco-sostenibile della vita grazie al sostegno dei più moderni scenari scientifici e delle più rilevanti scuole di pensiero contemporanee.
Specialista in salutogenesi e psicosomatica, svolge attività clinica per adulti, bambini e famiglie in provincia di Torino.
BIBLIOGRAFIA